“Il digitale nella didattica è una scelta: sta ai docenti introdurla e condurla in classe” (#7): così il Miur dichiara nel suo Decalogo BYOD, che finiremo di analizzare la settimana prossima, e aggiunge che l’uso dei dispositivi è promosso dagli insegnanti; questo con la consapevolezza che “il digitale trasforma gli ambienti di apprendimento” (#8), quindi starà alla discrezione dei docenti stessi mantenere separate la dimensione del privato e quella del pubblico.
A questo proposito Paolo Ferri, docente di Teoria e tecniche dei nuovi media e Tecnologie per la didattica presso l’Università degli Studio di Milano-Bicocca, dichiara già nell’articolo al suo contributo per il paginone de Il Sole 24 Ore sulla scuola digitale (inserto Nòva, 21 gennaio 2018) che per la “scuola «aumentata», non basta il tech”. Secondo il professore la didattica può essere potenziata solo grazie a formazione, condivisione e valorizzazione, temi chiave desunti sia dal report della Banca Mondiale («Apprendere per concretizzare le promesse dell’educazione») che dalle conclusioni dell’International Forum on Ict and Education 2030 dell’Unesco.
“L’insieme degli assunti ricavati dai recenti studi internazionali dovrebbe rendere chiaro come abilitare digitalmente la comunità della scuola sia molto di più del semplice fornire banda, computer e internet agli insegnanti e agli studenti.” Affinchè l’innovazione digitale sia sostenibile anche per la scuola italiana gli interventi dovrebbero comprendere una vasta gamma di sistemi di comunicazione e monitoraggio a tutti i livelli e per gli stakeholders coinvolti, ambienti virtuali per l’apprendimento, il tutoraggio e il monitoraggio dei processi (Moodle e Google Classroom, per esempio), contenuti digitali proprietari o aperti (Open Educational Resources) sia metodologici sia disciplinari, e sistemi avanzati di formazione continua (Mooc, corsi blended). Tutto ciò senza trascurare le relazioni formali e informali tra tutti gli attori del sistema scolastico, in quanto, secondo Ferri, non sono le tecnologie digitali a fare “buona” o meno la scuola, ma piuttosto mediare esperienze, pratiche e competenze.
“È doveroso, però, essere consapevoli – e ne devono essere consapevoli anche i decisori istituzionali – che senza un forte sostegno culturale, politico e anche finanziario, le virtuose eccezioni, rischiano di rimanere isolate e di non fare sistema. Il Piano Nazionale Scuola Digitale dovrebbe trovare attuazione sistematica in tutte le scuole e non rimanere il vanto di una qualificata minoranza di animatori digitali, insegnanti e dirigenti lungimiranti. E soli.”
A volte un aiuto in questo senso arriva anche da start-up internazionali che puntano a sviluppare le capacità sociali negli studenti: ecco il per voi il
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I Pokemon della fisica quantistica, scritto da Guido Romeo, al quale abbiamo dedicato nei giorni scorsi la news sulle condizioni strutturali e la didattica digitale.