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Gaming disorder: dubbi e questioni

L’OMS inserisce il gaming disorder nella lista ufficiale delle patologie.

Abbiamo chiesto un commento al prof. Michele Marangi, membro del Centro di ricerca CREMIT, esperto di media education e professore all’Università Cattolica di Milano, oltre che professionista impegnato nell’ambito della prevenzione.

“Da anni se ne parla, ora è diventato ufficiale e formalizzabile: può esistere anche la dipendenza da videogiochi.
In prospettiva, vedo due rischi che si dovrebbero evitare.
In primo luogo, associare all’intero universo dei videogiochi – che rappresentano attualmente il settore più ampio, diffuso e in crescita dell’intrattenimento – l’idea di pericolosità e di possibile “droga”. Il mondo videoludico è molto sfaccettato e complesso, appare riduttivo definirli “giochini monotoni e ripetitivi”, sarebbe interessante indagare se alcune tipologie di game sono più rappresentate di altre negli episodi di dipendenza e capirne eventualmente i motivi.
In secondo luogo, non si deve ridurre la dipendenza al videogioco in sé, ma coglierne con precisiome le relazioni riferite al profilo psicologico e al contesto, affettivo e ambientale, di chi tende a questi comportamenti. Come accaduto decenni fa per il trattamento dei tossicodipendenti, appare sensato non limitarsi alla sostanza in sé, ma capire il valore d’uso, le condizioni che portano al consumo, le risorse per rompere i percorsi di dipendenza e per ricostruire reti sociali significative. Non a caso, un esperto come Tonioni, che da quel mondo arriva, ha ben chiara la necessità di attivare un’analisi complessa e di pensare a soluzioni articolate, che prevedano tempi adeguati.
Fatte salve queste attenzioni ed evitando quindi di banalizzare e generalizzare un tema così delicato e complesso, appare importante dotarsi al più presto di strumenti e metodi non solo clinici e sanitari, ma anche pedagogici, sociali e culturali per affrontare la questione in modo articolato, considerando l’evoluzione continua delle tecniche e dei dispositivi di gioco – si pensi ai caschi oculari e alla dimensione di realtà virtuale e aumentata – e per attivare strategie di prevenzione fin dalla scuola primaria e percorsi di sensibilizzazione per i genitori, che spesso non conoscono o sottovalutano la portata che hanno i videogiochi per il loro figli. Senza allarmismi, ma con grande rigore.”

Un grande ringraziamento a Michele Marangi per la sua voce, molto profonda e condivisibile.

Su Avvenire, il tema viene affrontato con un articolo martedì 19 giugno.

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Videogame e violenza: seconda parte

Abbiamo proposto un articolo sul tema qualche giorno fa. La questione è molto interessante, anche se non è sufficiente fermarsi alla domanda: i videogiochi provocano comportamenti violenti e aggressivi?

Altrimenti, la logica potrebbe essere di semplificazione, ovvero i media causano problemi, dunque eliminiamo i media dalla nostra quotidianità.

Ricerche, studi e dati possono aiutarci a fare senso e sintesi.

Citiamo dall’articolo: “Un filone di ricerche ritiene che i videogiochi violenti possano in qualche modo favorire l’imitazione e quindi il comportamento analogo, ma ad oggi nessuno studio è riuscito a dimostrare questa come una relazione di causa-effetto”.

Qui il link al pezzo.

Videogame e violenza

Le cronache riportano spesso il tema alla nostra attenzione.

Ma può davvero essere incriminata la semplice esposizione ai videogiochi?

Può un videogame violento provocare una tale portata (il pezzo che ne discute prende le mosse dalla recente strage in una scuola americana).

Qualche idea nell’articolo di Emilio Cozzi, esperto di videogame, qui.