Si può essere dipendenti da Whatsapp?

Questa la domanda affrontata nell’articolo dell’Istituto Beck.

Condividiamo le ultime notazioni, con una premessa.

Costruire con i ragazzi e gli adulti (anche loro hanno Whatsapp e lo usano!) una educazione ai media, lavorare sull’educazione digitale, può servire da paracadute o meglio da elemento di prevenzione. Pensiamo alle 3 A; accompagnare i ragazzi anche in Whatsapp senza usarlo come cordone ombelicale, Autoregolarsi, cercando di non rendere Whatsapp l’uncio medium, Alternare esperienze e consumi. Tisseron ci consente di prendere una posizione, ancora una volta, sensata.

Ed ora le notazioni dell’articolo, in grassetto gli elemtni presi dal sito, i nostri commenti tra parentesi.

1) WhatsApp può trasformarsi in uno strumento di controllo (pensiamo alla funzione delle spunte di lettura)

2) Whatsapp può radicalizzare l’incapacità a comunicare (qui serve autoregolarsi e promuovere spazi di comunicazione integrati)

3) L’istantaneità come distruzione “dell’attesa” (aspettare costa fatica emotiva, siamo abituati all’immediatezza che non aiuta a gestire e abitare il tempo)

4) Disturbi del sonno (spegnere il telefono è una abitudine rara, ma possiamo silenziare i gruppi o immaginare di creare spazi “tech-free”, liberi e positivamente senza contatti. La luce artficiale dello schermo inibisce, senza dubbio, la produzione di melatonina che facilita e favorisce il sonno. a questo link un pezzo sul tema).

Educare all’equilibro è un compito dell’educazione digitale.